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Richard Artschwager

September 27–October 31, 2012
Rome

Installation view, photo by Matteo Piazza

Installation view, photo by Matteo Piazza

Installation view Photo by Matteo Piazza

Installation view Photo by Matteo Piazza

Installation view Photo by Matteo Piazza

Installation view Photo by Matteo Piazza

Installation view Photo by Matteo Piazza

Installation view Photo by Matteo Piazza

Installation view Photo by Matteo Piazza

Installation view Photo by Matteo Piazza

Works Exhibited

Richard Artschwager, Piano/Piano, 2011 Laminate on wood, 35 × 79 × 47 ⅞ inches (88.9 × 200.7 × 121.6 cm)

Richard Artschwager, Piano/Piano, 2011

Laminate on wood, 35 × 79 × 47 ⅞ inches (88.9 × 200.7 × 121.6 cm)

Richard Artschwager, Piano Grande, 2012 (view 1) Laminate on wood, 46 × 79 ½ × 35 inches (116.8 × 201.9 × 88.9 cm)Photo by Rob McKeever

Richard Artschwager, Piano Grande, 2012 (view 1)

Laminate on wood, 46 × 79 ½ × 35 inches (116.8 × 201.9 × 88.9 cm)
Photo by Rob McKeever

Richard Artschwager, Piano Grande, 2012 (view 2) Laminate on wood, 46 × 79 ½ × 35 inches (116.8 × 201.9 × 88.9 cm)Photo by Rob McKeever

Richard Artschwager, Piano Grande, 2012 (view 2)

Laminate on wood, 46 × 79 ½ × 35 inches (116.8 × 201.9 × 88.9 cm)
Photo by Rob McKeever

Richard Artschwager, Piano/Malevich, 2012 Laminate on wood, 48 × 48 × 27 inches (121.9 × 121.9 × 68.6 cm)Photo by Rob McKeever

Richard Artschwager, Piano/Malevich, 2012

Laminate on wood, 48 × 48 × 27 inches (121.9 × 121.9 × 68.6 cm)
Photo by Rob McKeever

About

The art that I make takes place about one step away from the normal stir of human activity.
—Richard Artschwager

Gagosian Gallery is pleased to announce an exhibition of new sculptures by Richard Artschwager. This is his first exhibition in Rome.

For five decades, Artschwager has forged a maverick path by confounding the generic limits of art, while making the visual comprehension of space and the everyday objects that occupy it strangely unfamiliar. Touching many genres but cleaving to none, Artschwager’s work has been variously described as Pop art, because of its derivation from utilitarian objects and incorporation of commercial and industrial materials; as Minimal art, because of its geometric forms and solid presence; and as conceptual art, because of its cool and cerebral detachment. His approach—evolving out of a formation that brings together counter-intelligence and cabinetmaking—focuses on the structures of perception, conflating the visual world of images (painting), which can be apprehended but not physically grasped, and the tactile world of objects (sculpture), which is the same space that we ourselves occupy.

Discovering the potential of synthetic materials has been critical to his project, whether the readymade frisson of vulgar Formica with its color fields, patterns, and sheen; or the suggestiveness of Celotex, the heavily textured, dimensional paper board on which he paints grisaille renderings of photographs (both obscure and topical), landscapes, and parlor scenes. Adopting most of his motifs from common interior surroundings, he has turned tables, chairs, lecterns, mirrors, and other items of furniture into visual riffs. Then there is punctuation (exclamation marks, question marks, brackets) in materials both hard and soft; fuzzy geometric forms or figural reliefs crafted out of stiff rubberized horsehair; “blps” of varying scale appearing surreptitiously in galleries and parks, and on city streets and skylines; and suggestive wooden crate sculptures that evince the dark humor of Evelyn Waugh’s The Loved Ones.

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L’arte che creo si colloca ad un passo dalla normalità della vita quotidiana.
—Richard Artschwager

Gagosian Gallery è lieta di annunciare una mostra di nuove sculture di Richard Artschwager, la sua prima esposizione a Roma.

Da cinquant’anni, Artschwager traccia un percorso artistico originale mettendo a soqquadro i confini tradizionali dell’arte, e rendendo insoliti la percezione visiva dello spazio e gli oggetti di uso comune che lo occupano. Avvicinando molti movimenti, ma non aderendo ad alcuno in particolare, il lavoro di Artschwager è stato associato alla Pop Art, per via della natura funzionale degli oggetti utilizzati e l’uso di materiali commerciali e industriali; alla Minimal Art, per le forme geometriche e la loro concretezza; alla Conceptual Art, per il freddo e cerebrale distacco. Dal background dell’artista, che unisce le esperienze più diverse, dal controspionaggio alla falegnameria, emerge un approccio incentrato sull’analisi della percezione con l’intento di unire il mondo visivo della pittura, popolato da oggetti comprensibili ma non fisicamente afferrabili, a quello degli oggetti tangibili della scultura, ossia lo spazio da noi occupato.

Cruciale per il suo lavoro è stata la scoperta dei materiali sintetici e delle loro potenzialità: dalle immediate emozioni della Formica comune con i suoi colori, motivi e lucentezza, alla suggestione del Celotex, lo spesso pannello sul quale dipinge, in monocromatiche sfumature di grigio, scene ispirate a fotografie, paesaggi e interni domestici. Ispirandosi all’arredamento di interni, l’artista ha trasformato tavoli, sedie, leggii, specchi e altri oggetti in ricorrenti temi visivi. A questi si uniscono i punti esclamativi, interrogativi e le parentesi che l’artista realizza con materiali morbidi o solidi, forme geometriche indefinite e rilievi figurati composti da ispide fibre sintetiche: segni di punteggiatura ingranditi di varie misure che si incontrano in gallerie, parchi e strade delle città; e infine vi sono le suggestive sculture create con casse di legno che evocano il tono satirico del romanzo inglese The Loved Ones di Evelyn Waugh del 1948.

Nella mostra di Roma, Artschwager riprende un filo concettuale iniziato con Piano (1965), uno dei suoi primi simil-mobili dall’aspetto cartoonesco e dal profilo squadrato. Quest’opera dal potente rimando musicale, in prestito dalla collezione Castelli, è presentata insieme ad altri “classici” di Artschwager, come il gigantesco Exclamation Mark e Mirror, specchio trompe l’oeil in Formica. Il magnum opus della mostra è composto da quattro sculture-pianoforti, rivestite di “immagini” in laminato. Ogni scultura costituisce una variazione dell’oggetto reale e incarna la predilezione musicale dell’artista per il contrappunto e la fuga, preferenza resa a livello scultoreo con esercizi di equilibrio ed evanescenza.

Gli straordinari pianoforti di Artschwager sostengono una confusione attentamente orchestrata tra pittura e scultura e ci ricordano che siamo nel regno dell’arte e non nella realtà: i tasti bianchi hanno dimensioni diverse (fa, sol e la sono più grandi rispetto a do, re, mi e si); alcuni pianoforti hanno due pedali, mentre altri tre. Ognuno presenta furtivi giochi di parole visivi e cenni storico-artistici: dai riferimenti alla storia dell’astrattismo, come l’opera Red Square di Kasimir Malevich, alla punteggiatura oramai parte integrante della sintassi visiva di Artschwager. Piano/Piano è un pianoforte a coda progettato per un vivace concerto a quattro mani, con due tastiere ed il cui coperchio chiuso si presenta come un sinuoso e silente elemento grafico. In Piano Grande il coperchio è aperto, a rivelare un interno rosso sorprendentemente teatrale, come se si volesse liberare il suono insieme all’immagine. Piano Fort sembra un massiccio pianoforte Broadwood con spavaldi punti esclamativi nero su giallo che sottolineano gli intervalli della tastiera; infine Piano Malevich esprime letteralmente un momento chiave della politica e pittura radicali attraverso la sfera musicale e scultorea. Come la sua famosa sedia schiacchiata, anche i pianoforti sono tutti “platonici”: è solo l’idea inerente all’oggetto a venir rappresentata. Nel sorprendente universo metaforico di Artschwager, nulla è mai soltanto un’unica cosa: un anonimo foglio di Formica patinata è sia ciò che è, sia l’immagine di una superficie in legno; un pianoforte è al tempo stesso un mobile, una scultura e un’immagine.

Un catalogo interamente illustrato sarà pubblicato in occasione della mostra e comprenderà saggi di Yve-Alain Bois e del rinomato pianista Emanuele Arciuli.

Richard Artschwager nasce nel 1923 a Washington D.C. Ha studiato chimica, biologia e matematica alla Cornell University, e arte informale con Amedée Ozenfant, un pioniere dell’astrattismo. Nei primi anni cinquanta ha iniziato a lavorare come ebanista, realizzando semplici mobili. In seguito ad un disastroso incendio della sua bottega alla fine della decade, inizia a creare sculture usando lo scarto di materiali industriali, dedicandosi successivamente alla pittura, al disegno, alle installazioni site-specific e a lavori basati sulla fotografia. La sua prima mostra ha avuto luogo presso la Art Directions Gallery, New York nel 1959. La sua opera è stata oggetto di importanti personali, tra le quali si annoverano Whitney Museum of Art, New York (1988); Centre Pompidou, Parigi, (1989); Deutsche Guggenheim, Berlino (2003); Kunstmuseum Winterthur (2003). I suoi lavori fanno parte di collezioni museali internazionali tra cui Museum of Modern Art, New York; Art Institute of Chicago, Museum Ludwig, Colonia e Fondation Cartier pour l’art contemporain, Parigi. La sua seconda retrospettiva "Richard Artschwager!" sarà inaugurata presso il Whitney Museum of American Art il 25 ottobre 2012, e presentata nel 2013 in importanti spazi negli Stati Uniti e in Europa.